Nell’accogliere l’invito del Direttore del Museo dell’Energia di Ripi a cui va il mio ringraziamento, di partecipare per Legambiente all’evento dal nome “Gustascienza”, mi sono posto una semplice domanda: cosa si può fare per rendere utile questo incontro”.
Parto da una riflessione personale. Durante un mio soggiorno in Canada e negli Stati Uniti d’America, ho avuto modo di osservare la diffusione di una nuova tendenza molto di moda in quei paesi. I mercatini green, cioè piccole bancarelle allestite con prodotti della terra (verdure, formaggi, frutta, miele, marmellate) perché sta crescendo, in quelle popolazioni abituate ad acquistare nelle grandi catene dei supermercati, il bisogno di voler mangiare cibi più sani. Si sta quindi sviluppando un’economia fiorente tutta marcata in senso compatibile con le esigenze del nostro pianeta.
Ho riflettuto e mi sono detto: io che ho vissuto in un piccolo paese ciociaro, osservando queste cose altrove come nuove e moderne, mi ha fatto venire alla mente ricordi di come vivevamo noi molti anni fa.
Il mercato domenicale settimanale in paese era l’occasione offerta per poter acquistare i prodotti della terra direttamente dal contadino che li produceva, il pane era quello di Nunziatina o di Lucia Cacola, le uova erano quelle delle galline allevate a terra con “gliu ciliano”, la carne era dei bovini che si nutrivano di erba che i contadini possedevano e curavano più delle persone, le verdure in vendita erano dei pofani (abitanti di Pofi).
Tutela e salvaguardia del paesaggio ripano
Voglio partire da questa premessa per dire che il modo migliore oggi di rivalorizzare il nostro paese e l’esistenza degli abitanti ripani si può realizzare solo se le persone, abbandonando la rassegnazione del non vivere, scoprano quante risorse può ancora questa parte della Ciociaria. Intanto, cosa non facile, tenerci al proprio paese non lasciandolo degradare ulteriormente. Poi, rimboccarsi le maniche e provare a costruire un futuro per chi vive qui.
Il territorio ripano offre molte opportunità che occorre solo conoscere, per la presenza di:
la macchia; il bosco situato in Via Tavernola è un lembo residuo di macchia mediterranea sopravvissuta facente parte di una vasta foresta antica che copriva tutto il suolo dai monti al mare dell’Italia centrale. Il suo habitat è cambiato nel tempo con l’ampliamento di zone a uso agricolo e pastorale a discapito delle zone boschive. Le fonti dicono: esteso bosco “la macchia di Ripi-Pofi-Ceprano” di un cerqueto e farnetto. categoria cerrete. tipo querceto di cerro e farnetto (Quercus deriva dal celtico che significa “bell’albero”).
Il cerro, quercia comune nell’Italia centro-meridionale, è una pianta caducifoglia che raggiunge i 25-30 metri di altezza e il fusto è dritto e slanciato. La corteccia, di colore brunastro, si presenta profondamente solcata e suddivisa in placche che lasciano intravedere il sughero rossastro. La corteccia è pregiata perché contiene un’elevata percentuale di tannino, sostanza utilizzata per conciare le pelli ammorbidendole e impedendone la putrefazione.
Il nostro bosco di farnetto è in Italia tra quelli situati più a nord. Da qui si intuisce la grande valenza ecologica che questa pianta riveste all’interno della nostra macchia, dove prospera in consociazione con il cerro.
Il pungitopo è un arbusto sempreverde caratteristico dei boschi mediterranei, noto per l’uso che se ne faceva in passato quale semplice ma efficace protezione contro i topi per salumi e formaggi. Oggi viene utilizzato come pianta ornamentale di buon auspicio per alcune festività, anche se la sua raccolta attualmente è assolutamente vietata.
Altre piante e fiori presenti sono: rosa selvatica, more di rovo, le numerose specie di orchidee.
Le felci appartengono al quel gruppo di piante che non producono fiori, frutti e semi.
Sono sufficienti un paio di giorni di pioggia per vedere nel sottobosco spuntare i funghi, in particolare i porcini a metà maggio sotto le latifoglie, i quali oltre a cucinarli vengono utilizzati nella lievitazione del pane, fermentazione di bevande alcoliche, per produrre antibiotici e altri prodotti farmaceutici.
L’ambiente diffuso del bosco presenta piccole pozze temporanee di acqua in inverno, ma asciutte in estate.
La fauna della macchia è composta da rane, tritone, tartarughe d’acqua, mentre tra le specie di uccelli figurano la poiana, il biancone, lo sparviero.
Composizione dello stato arboreo
Alla fine del pliocene, l’ambiente di questo territorio era caratterizzato da una vegetazione climatogena (vegetazione naturale che si sviluppa in dipendenza di fattori generali del clima di tipo mediterraneo caldo). Si trattava di una vegetazione forestale sempreverde. Le associazioni climatogene sono floristicamente molto stabili e povere che non favoriscono l’evoluzione delle specie vegetali.
La macchia si trova in una pianura interna su suoli profondi e decalcificati della valle del Sacco-Liri formata da suoli argilloso-sabbiosi freschi e fertili. Il bosco copre un territorio dalla morfologia piuttosto varia in cui si alternano aree pianeggianti, piccoli rilievi dai versanti più o meno ripidi, stretti canali. Questa variabilità è alla base della notevole diversità biologica presente e conferisce a tutta l’area un valore paesaggistico molto rilevante (fonte carta forestale Regione Lazio derivata dalla carta delle formazioni naturali e seminaturali, approfondimento della carta dell’uso del suolo).
Il bosco è soggetto alla degradazione per opera del fuoco. Quando l’uomo ha occupato il bacino mediterraneo, agli incendi molto rari per cause naturali sono venuti ad aggiungersi quelli più frequenti di incendi provocati. L’uomo incendiava la vegetazione per stanare la selvaggina o bruciava le sterpaglie per far sviluppare in poco tempo una vegetazione erbacea effimera in grado di attirare gli animali erbivori sempre per cacciare. Attualmente siamo in presenza di incendi devastanti per ragioni non più legate a procurarsi cibo, ma per bisogni inconfessabili.
Conservazione e protezione della macchia
Il querceto presenta un substrato povero e sottile. Le foreste risultano generalmente in uno stato di conservazione piuttosto buono e la particolare abbondanza di Quercus Frainetto, che fra le specie del genere Quercus è quella che tollera meno la ceduazione, potrebbe indicare che tali formazioni non sono state in passato eccessivamente interessate da questo tipo di sfruttamento. Ciò si spiega probabilmente con il fatto che in questi settori i suoli, riconducibili a sabbie e argilla, sono poco strutturati, tendenzialmente acidi, poveri di materiale organico. Lo sviluppo di questi boschi di conseguenza risultano a bassa produttività e ciò verosimilmente li ha protetti dall’eccessivo sfruttamento; la struttura e la composizione floristica risultano infatti piuttosto integre. Altro parametro che definisce un buono stato di conservazione dell’habitat è l’assenza di piante che non sono originarie del luogo. Tra le diverse specie raccolte da uno studio dell’area della media Valle Latina, si è messo in evidenza un contingente relativamente numeroso di specie poco comuni o rare nel Lazio. Alcune di esse rivestono un interesse dal punto di vista sia geografico sia ecologico. Diverse entità per esempio erano ad oggi conosciute solo lungo le aree costiere, ma grazie al presente lavoro il loro areale viene esteso anche all’area subappenninica retrostante i monti volsci. In conclusione, sulla base di quanto riportato da Anzalone B., Iberite M., Lattanzi E., 2010 – La Flora vascolare del Lazio. Flora della media Valle Latina Appennino Centrale (Informatore Botanico Italiano), questo lavoro non solo contribuisce a colmare parzialmente una lacuna conoscitiva sulla flora regionale, ma mostra come la Valle del Sacco presenti ancora alcuni lembi di vegetazione ad alta naturalità ed elevato pregio floristico.
Da un punto di vista della conservazione della diversità vegetale, l’area indagata può considerarsi molto importante proprio per la presenza di boschi di Quercus Frainetto (habitat di interesse comunitario), di specie d’interesse nazionale quali Isoetes velata e di alcune entità di interesse regionale, come Isoetes Histrix (fonte Blasi et al., 2009, 2010).
Gli ambienti umidi nel querceto di Via Tavernola agevolano la presenza di specie dette Cyperacea, famiglia di piante erbacee che crescono nei luoghi umidi e paludosi delle regioni calde.
Dopo aver raccontato quello che c’è nel nostro bosco, mi preme individuare cosa i può fare per rendere questa risorsa utile ai paesi che la posseggono. Intanto si può:
– svolgere un censimento della macchia e delle sorgenti in essa presenti;
– creare un consorzio intercomunale per tutti quei comuni della provincia dove sono presenti aree boschive, allo scopo di unificare le diverse macchie dandosi regole comuni da seguire uniformemente e, quindi, poter prevedere finanziamenti finalizzati a tutelare i boschi presenti nella Ciociaria essendo un patrimonio naturale comune.
Azioni utili per la conservazione
Servirebbe prevedere:
efficaci piani antincendio e controlli mirati tesi a prevenire tagli di rapina soprattutto ai danni delle specie di Quercus più longevi;
l’abbandono nell’utilizzo delle superfici adiacenti agli attuali habitat, per favorire l’espansione della superficie boschiva;
no alle discariche.
Ecco come il bosco crea lavoro e quanto è importante ora per noi ciociari avere un lavoro.
L’acqua
La risorsa più importante per l’uomo e per tutti gli esseri viventi (animali, vegetali) è l’acqua senza la quale non si può vivere. A tale proposito, cito due risorse presenti nel territorio ripano:
mulino ad acqua e colata lavica in località “Comuni” lungo il Fosso Meringo. E’ situato in una zona interessante dal punto di vista naturalistico per la presenza di un altro tratto di macchia boschiva Ripi-Pofi, per l’acqua del Meringo che scorrendo ha fatto emergere una colata lavica dell’antico vulcano di Pofi. Inoltre, il luogo è stato in passato utilizzato come cava per estrarre materiale vulcanico, forse i basoli usati dai romani per pavimentare la vicina Via Latina (oggi Casilina). Si può ancora osservare quale tecnica veniva usata per estrarre la roccia.
Anche questo luogo si potrebbe valorizzare come:
punto di osservazione della natura;
il restauro dell’antico mulino ad acqua di Mola Sterbini, rendendone l’utilizzo a scopi didattici in particolare per i ragazzi delle scuole. Un laboratorio a cielo aperto;
l’incanto della fioritura in primavera delle orchidee selvatiche sulla roccia vulcanica.
Perciò si dovrebbe porre un vincolo su tutta l’area dei “Comuni” in modo da mantenere la conservazione della località per il fine che aveva. Infatti, il nome “Comuni” sta a significare che l’intera zona era adibita al pascolo non solo di Ripi, ma in comune con Pofi e Ceprano.
I fontanili; chi non ricorda fontana la valle – sorgente solfa di via Pozzo Galloni – fontana Pilozza – fontana Sabatino – pozzo Margherita – sorgente solforosa di via Petroglie.
Nel 2006 è stata incaricata la geologa Francesca Ferrazzoli di Ripi di effettuare un rilevamento di campagna alla ricerca di diverse fonti idriche, quali pozzi comunali – fontanili – sorgenti, vista l’emergenza di scarsità di acqua oggi presente. L’attenzione è stata rivolta ai luoghi in cui c’era ancora una certa disponibilità idrica, per cui nel 2008 il Comune di Ripi ha ricevuto un finanziamento dalla Regione Lazio finalizzato alla sistemazione dei siti Pilozza-Sabatino-pozzo Galloni-San Silvestro. Pertanto, i lavori sono stati eseguiti in quanto era eclatante lo stato di abbandono e degrado esistente, ma purtroppo manca la dovuta manutenzione delle opere.
Agricoltura
Ripi ha un suolo che per la sua conformazione si presta alla produzione di un buon vino. I ragazzi delle scuole di Ripi sono andati a visitare l’azienda agricola del Cavalier d’Amore. Ce ne parlerà di vino dopo Franco Fratarcangeli che coltiva vigne biologiche e produzione di vini ottimi e anche autoctoni.
L’ulivo trova nel nostro terreno collinoso il suo habitat naturale. Per questo i ragazzi delle scuole di Ripi sono andati a visitare il frantoio Cavalli.
60 anni fa, ogni contadino ripano produceva per i suoi bisogni l’uva, le olive, il grano e la frutta. Capisco pure che si produceva per la propria famiglia e solo il surplus era destinato alla vendita. Era una economia agricola povera che non permetteva di ricavare un reddito sufficiente dall’attività svolta. Oggi in Italia chi opera in questo settore producendo vino e olio ottimi, ricava grandi profitti essendoci una domanda crescente di made in Italy sia in Italia sia all’estero.
Perché la nostra gente non ricomincia a seminare e coltivare con metodi tradizionali conosciuti, potando vigne e producendo il suo vino, curando gli ulivi senza la chimica, piantando varietà di frutti dimenticati? Questa si chiama agricoltura naturale. Chi la conosce non ha bisogno di sapere niente di più. Per gli altri può essere una bella scoperta. Ma è molto semplice, per esempio prendiamo il grano che i ragazzi delle scuole ripane hanno visitato il mulino a pietra Caldaroni. Si potrebbero usare semi di varietà antiche, le quali sono più resistenti anche se la raccolta è meno abbondante. Ma il terreno si rigenera perché il metodo tradizionale di coltivazione rende la terra più fertile. E poi: si semina, si macina, si prende la farina e la si impasta a mano come una volta e vien fuori il pane che ha un profumo che non esiste più e molti sarebbero disposti a pagarlo di più se sapessero dove trovarlo. In Italia molti giovani laureati stanno riscoprendo questo nuovo modo di essere contadini e grazie a loro e a quelli come loro il grande mito del biologico sta tornando di moda. Il metodo è semplice: lasciar fare alla natura, che significa non usare diserbanti e concimi chimici in una agricoltura dove la terra lavora per te, in quanto meno la lavori e più rende ed è più brava di noi. Il frumento cresce meglio assieme alle erbe cosiddette infestanti, che sono utili perché la natura è contraria alla monocoltura. C’è quindi bisogno della varietà (come facevano prima i nostri contadini) e il coltivatore deve essere testardo, nutrirsi di una certa passione e un forte senso etico del cibo. Nel giro di pochi anni, l’esperimento funziona e da grandi soddisfazioni a chi lo fa.
In sintesi, occorrerebbe cambiare il modello agricolo. Molti sono d’accordo. Nell’ultima Fiera del Bio, svoltasi a Erba, c’erano 3000 visitatori: cosa vuol dire, che ora c’è più consapevolezza, maggiore attenzione a cosa si mangia.
Ma adesso un suggerimento: a chi ha perso la speranza di trovare un lavoro che non c’è o è saltuario, basterebbe provare a seminare un ettaro di terreno ogni dieci e lasciar fare alla natura. Poi arare invece che diserbare. Vedrebbero i loro terreni rivalorizzati e il ritorno di fiori colorati, che vuol dire: la terra è di nuovo sana.
Pozzi di petrolio ancora attivi: è stato scritto l’ultimo capitolo della Miniera di Ripi nel 2014, la cui prima concessione risale a marzo 1868 cioè a oltre 150 anni fa. La storia degli unici pozzi petroliferi nel Lazio, l’importanza che è stato in Italia il primo ad avere il riconoscimento di petrolio di stato italiano e oggi la loro esistenza può diventare una risorsa da sfruttare come archeologia mineraria da utilizzare, assieme al Museo dell’Energia di Ripi, per lo sviluppo culturale e turistico attraverso il percorso dell’energia dell’Ecomuseo Argil in cui anche il Comune di Ripi ne fa parte.
Tutela e salvaguardia è stato sempre a cuore a Legambiente, ma non si tutela e valorizza un territorio se non l’impegno dell’uomo e il suo sapere, in particolare se non ci sono i contadini nei campi, perché loro sono le prime guardie ambientali. Preservare il nostro territorio dall’incuria e dai reati ambientali è possibile a condizione che la stragrande maggioranza degli abitanti sia consapevole dei danni inferti alla natura. A tale proposito, mi viene in mente cosa sono diventate le acque del fiume Sacco dove il nostro Meringo va a confluire. A proposito, nel settembre 2013 in occasione di “Puliamo il mondo” i nostri soci e gli alunni delle scuole di Ripi hanno raccolto gomme di pneumatici dal letto del fosso Meringo.
Termino richiamando la vostra attenzione sulle recenti tragedie causate da alluvioni e tempeste. Dovrebbe essere chiaro a tutti che stiamo vivendo al di spora delle possibilità offerte dal nostro pianeta. Se interrompiamo i cicli e le regole della Terra, non possiamo che andare incontro a cambiamenti climatici non prevedibili. L’inquinamento atmosferico ha interrotto i sistemi e alterato l’equilibrio climatico. La distruzione degli habitat e la diffusione delle monoculture hanno contribuito a ciò che gli scienziati chiamano “LA SESTA ESTINZIONE”: la scomparsa della biodiversità mille volte superiore al tasso normale. Ma cos’è la biodiversità. Lo spiego con un esempio. Tutto il carbone, il petrolio e il gas naturale che stiamo usando si è formato in oltre 600 milioni di anni. L’uomo brucia 20 milioni di anni di attività della natura. La dipendenza mondiale dai combustibili fossili è anche responsabile del poco carbonio ormai disponibile (il carbonio dà vita), che si traduce in poca disponibilità di cibo per gli organismi del suolo e di conseguenza per le persone. La fame e la desertificazione del suolo sono cause di riduzione della biodiversità. Per fissare più carbonio nell’atmosfera dobbiamo intensificare la biomassa (cioè l’insieme di organismi animali e vegetali presenti in una certa quantità in un dato ambiente) nelle foreste e fattorie biologiche. A tale proposito cito la visita effettuata dagli scolari ripani alla Cooperativa Agricola Terre Sane di Ripi, in cui si opera la biodinamica, (secondo il metodo biodinamico, la fertilità e la vitalità del terreno devono essere ottenute con mezzi naturali: compost prodotto da concime solido da cortile; preparati biodinamici, attenzione ai ritmi della natura e alle relazioni e processi tra gli esseri viventi).
Biodiversità e densità di biomassa crescendo producono: più nutrizione e cibo per ettaro e in più le piante fissano naturalmente carbonio e azoto, riducendo le emissioni di inquinanti in aria. Il carbonio quindi viene restituito al suolo attraverso le piante. Ecco perché la connessione fra biodiversità e cambiamenti climatici è così stretta.
La minaccia alla sopravvivenza umana è ora riconosciuta dagli scienziati entro i prossimi 100 anni. Due le scelte: estinzione o fuga. Una terza: difendere la nostra casa, proteggendo e ringiovanendo i processi viventi della Terra.
Carlo Troccoli